In appena due giorni, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha collezionato una serie di fallimenti che stanno mettendo in discussione la credibilità dell’Unione Europea sul piano internazionale. Due episodi, uno in Cina e l’altro nel Regno Unito, hanno segnato un momento particolarmente critico per la leadership europea, già da tempo percepita come debole e scollegata dalla realtà geopolitica.

Il gelo con Pechino

Durante una missione diplomatica in Cina, la delegazione guidata dalla Von der Leyen è stata accolta con freddezza, quando non con vera e propria ostilità. Dopo una serie di scambi tesi con i rappresentanti del governo cinese, Pechino ha respinto le aperture dell’Unione, lasciando intendere chiaramente di considerare Bruxelles un attore ostile nei confronti del blocco dei BRICS e della crescente visione di un mondo multipolare. La risposta cinese è stata inequivocabile: l’UE, con la sua posizione ambigua tra Washington e le nuove potenze emergenti, non è vista come un interlocutore affidabile.

La resa a Trump in Scozia

Il giorno successivo, un altro scivolone. In un incontro avvenuto in Scozia con Donald Trump – ex presidente USA e possibile futuro inquilino della Casa Bianca – la Von der Leyen avrebbe promesso impegni economici per oltre 1 trilione di dollari, nel tentativo disperato di ottenere una forma di benevolenza dall’ex leader statunitense. Il fatto grave? Nessun consenso preventivo da parte dei governi europei, e nessun confronto democratico con gli Stati membri. Un atto che molti commentatori stanno già bollando come una “capitolazione politica”, con l’Europa che cerca di comprare la stabilità a caro prezzo, svendendo ogni forma di sovranità decisionale.

Un’Unione sempre più irrilevante

Questi due episodi confermano ciò che molti sospettavano da tempo: l’Unione Europea, sbandierata per anni come strumento di potere e rappresentanza per i singoli Stati, fatica sempre di più a contare qualcosa nei grandi tavoli globali. La narrazione eurista secondo cui Paesi come l’Italia avevano bisogno dell’UE per “avere voce in capitolo” si sta sgretolando davanti agli occhi di tutti. I fatti dimostrano che proprio l’adesione incondizionata alle logiche di Bruxelles ha privato l’Italia – e non solo – della propria capacità di autodeterminazione.

Italia: il confronto con il passato

È utile ricordare che prima del Trattato di Maastricht, l’Italia aveva una presenza ben più incisiva a livello internazionale. Aveva margini di manovra economica, autonomia diplomatica e una politica estera più libera da vincoli ideologici. Il confronto tra l’Italia pre-Maastricht e quella attuale evidenzia un declino della nostra influenza proprio nel periodo in cui si è scelto di cedere sovranità all’Unione.

Una riflessione necessaria

Alla luce di quanto accaduto, è legittimo domandarsi se non sia giunto il momento per l’Italia di ripensare profondamente il suo ruolo nell’UE. Uscire dall’Unione non è più un tabù, ma una possibile via per recuperare una posizione di forza, come potenza indipendente, capace di dialogare da pari con i grandi blocchi internazionali. La strada non sarebbe semplice, ma forse più dignitosa di un’eterna sudditanza a una burocrazia che – come dimostrato negli ultimi giorni – non riesce nemmeno a far valere la propria voce nel mondo.

Max

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